Gennaio 22 –
In milioni hanno visto la mela cadere, ma Newton è stato quello che si è chiesto perché. (Bernard Baruch).
Gennaio 2022: una della peggiori partenze dei mercati azionari, soprattutto statunitensi. Tra le mille domande che possiamo porci in un momento come questo (rialzo dei tassi, bolla speculativa su Nasdaq, nuova età dell’oro europea, banche centrali in trappola, mini recessione alle porte, rallentamento utili aziendali…) sicuramente quella che pare meno attinente è una riflessione sul sistema in cui lavoriamo e di cui facciamo parte.
Se avrete la pazienza di leggere queste poche pagine, resistendo alla tentazione di tornare ad osservare l’andamento schizofrenico dei mercati, troverete una risposta alle domande di cui sopra.
Arriviamo subito al sodo:
il sistema entro cui tutti noi ci muoviamo, ossia la fabbrica del risparmio, è un MATRIX.

Noi, come Neo prima di incontrare Morpheus, pensiamo di avere a disposizione centinaia di prodotti e proprio per questo crediamo di poter essere artefici del nostro destino (ossia la performance) se solo riusciamo, di volta in volta, a scegliere quelli appropriati per il momento e a comporli in maniera ottimale. In realtà tutti quei prodotti sono solo «impulsi elettrici» il cui sottostante è una ed una sola variabile:
la crescita economica.
Le centinaia di prodotti che il risparmio gestito vende sono tutte riconducibili a questa unica variabile.
E la crescita economica altro non è che la manifestazione principale del sistema capitalistico (Schumpeter diceva: «lo scopo del capitalismo è produrre merci e sempre più merci»)
Quindi quando viene venduto un prodotto gestito diversificato ai clienti, viene venduta la capacità del sistema capitalistico di produrre merci e sempre più merci. Dalla sua forza ed efficacia dipende il ritorno che si ottiene sugli investimenti.
Quando parlate «di time to recovery», «di lungo termine» di «crisi che nel tempo sono sempre state superate» state dicendo al cliente di AVERE FIDUCIA NEL SISTEMA CAPITALISTICO e nella sua capacità di produrre merci e sempre più merci.
Perché avere ben chiaro questo concetto è importantissimo?
Per lo stesso motivo per cui, quando vogliamo fare un puzzle, partiamo dai bordi e non dal centro!
Conoscere a priori i limiti entro cui si opera, porta poi a fare le scelte giuste. I limiti e gli ostacoli al rendimento degli investimenti, non derivano dalla correttezza degli strumenti che scegliamo ma, se vendiamo il capitalismo, sono i medesimi del sistema capitalistico.

Comprendere la reale essenza di quello che vendiamo giornalmente ai nostri clienti ci aiuta immediatamente a capire che:
- 1) i ritorni annui dei prodotti, siano essi gestiti attivamente (Hedge funds o fondi bilanciati) o siano fondi passivi (azionari o bonds), sono compresi tra il 2% e il 4% (a seconda del grado di rischio assunto) e sono, quindi, una declinazione del tasso di crescita mondiale che, nel medesimo periodo, dal 1999-2018 è stato pari al +4,8% equivalente annuo.

- 2) come si vede dal grafico sotto, il 4,8% di crescita annua del Pil, di cui parlavamo, è decrescente dal 1961. Per chi sta nel Matrix, quindi, il rendimento degli investimenti è decrescente.

- 3) A prescindere dalle mode, dai grafici e dai concetti di crescita (growth) e valore (value) ci sono economie dove il capitalismo funziona bene (ricordate? Merci sempre più merci) e altre dove invece funziona male. Investire in queste ultime non è mai una buona idea perché ci condanna ad avere certamente rendimenti negativi nel lungo termine.


- 4) Se, qualunque sia la composizione degli strumenti disponibile nel Matrix, (materie prime, Bric, value, growth) il rendimento che otterremo è decrescente nel tempo, l’unica variabile che può fare la differenza è il costo del prodotto. Questo spiega il successo di ETF e di “All weather Portfolio”.

Non deve quindi stupire che, nel grafico del punto 1, il rendimento medio annuo ottenuto da “all weather portfolio” abbia non solo battuto i gestori attivi ma, anche, sia stato più vicino al +4.8% annuo che rappresentava la crescita del Pil mondiale. Nel Matrix la differenza non la fanno le idee e nel lungo periodo vince sempre il prodotto low cost.

Ecco perché se vogliamo sfuggire alla legge dei rendimenti decrescenti dobbiamo uscire dal Matrix e spostare il focus sulle idee.

Cosa significa che le idee sono le nostre asset classes? Significa, ad esempio, che nel 2003 invece di investire sulla crescita, potevamo costruire un portafoglio 80-20 con il 20% azionario incentrato sull’idea di internet.
Non ricordo se, all’epoca, ETF o Nasdaq potessero essere usati per quel 20%.
Ma non è questo il punto. Anche se fossero esistiti non avremmo dovuto usarli perché scommettere sull’idea internet doveva significare comprare e gestire 30/40 titoli, dopo averne studiato i bilanci e dopo averne capito i prodotti e gestire poi quella posizione in maniera diversa dalla logica di un indice o di un ETF che deve fare il rebalance.
La logica della gestione delle idee deve essere il contrario del vendi, guadagna e pentiti. Esattamente il contrario. Questo significa che, proprio perché la modalità di gestione è completamente diversa, ci possono essere momenti in cui tutto questo sforzo può sembrare vano: il grafico qua sotto mostra, infatti, che l’idea internet, dal 2002 al 2009, avrebbe avuto rendimenti simili a quelli del Matrix, tra il 2% e il 4% annuo.

Poi succede qualcosa e il periodo dal 2003 al 2009 ( box verde), diventa un lontano ricordo. Il grafico sotto mostra che il Matrix è ancora là e, a distanza di 10 anni, avrebbe consegnato rendimenti medi annui sempre compresi tra il 2% e il 4%. Là dentro, gestori attivi e passivi si sfidavano, esattamente come fanno oggi, cercando di fare la differenza interpretando un dato economico, una minuta della Fed, o cercando ETF con commissioni sempre più basse. Il portafoglio Internet, che invece di sfidarsi su quel campo cercava di interpretare le conseguenze e le ricadute di quella incredibile innovazione, avrebbe ottenuto un rendimento medio annuo del 15%.

Gestori attivi e passivi che oggi all’unisono raccontano, e sperano, che quella linea viola sia la bolla del secolo, per giustificare il loro stare nel Matrix vi faranno vedere il classico grafico Titoli value / Titoli growth.

Ricordate la frase all’inizio su Newton e la mela? Basterebbe chiedersi il «perché» del grafico precedente e, aggiungendo anche il rapporto degli utili, vedremmo che nel 2000 c’era una bolla, oggi no!

E oggi? Quali sono le idee diverse dalla crescita del PIL su cui puntare?
L’idea è che le economie vincenti nei prossimi anni saranno quelle che si baseranno su elettromobilità, rinnovabili, proteine vegetali e biotecnologie, che soppianteranno quelle basate su meccanica energia e credito.
Un investimento “prodotto su idee”, ruota attorno ad un portafoglio di titoli azionari (tra il 20% ed il 30%) che punta su questa idea. Il resto può essere investito in attività prive di rischio.
Il lavoro sottostante un prodotto che si basa su idee, è massimizzare il ritorno quando l’idea funziona

contenendo i danni quando i rigurgiti di mercato premiano i settori e le economie su cui non si è investito,

in attesa di uscire dal box.

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Molto interessante. Mi sorgono spontanee due questioni. Una riguarda il fatto che applicare questo criterio a se stessi va bene, mentre applicarlo ad altri significherebbe trovare un livello di comprensione e di accettazione della sua logica abbastanza rari.
La seconda invece è un dubbio: anche il portafoglio All Weather ha beneficiato di decenni di rivalutazione dei bond, grazie alla riduzione dei tassi, che ora pare non esserci più. Mi chiedo se l’efficienza possa rimanere la stessa ed anche quale possa essere una attività priva di rischio quando i tassi nominali a breve sono lontani dal coprire l’inflazione.
Grazie per il commento.
Riguardo al primo punto, io credo che, purtroppo, traghettare i clienti da portafogli “all weather” a portafogli che puntano su idee più articolate, specifiche e motivate, sia una necessità. Declino demografico, livelli di debito Pil non più espandibili e produttività in generale declino non faranno altro che aumentare la velocità con cui i rendimenti degli “all weather portfolio” tenderanno inesorabilmente a zero nel lungo periodo. Ecco perché dobbiamo reinventare il nostro lavoro: non più spendere ore nel cercare il prodotto meno costoso. ma nel cercare quello con l’idea sottostante più brillante, non più passare ore a tranquillizzare il cliente sul fatto che tutto passa ed alla fine il capitalismo vince sempre, quindi per gestire basta seguire le due regole di Warren Buffett, ma a spiegargli che se nel 2030 le auto elettriche saranno il 90% dell’immatricolato mondiale, allora probabilmente metà delle imprese quotate oggi in Europa spariranno.
E qua si arriva al secondo punto.
“All weather” non beneficerà più dell’opportunità secolare dei tassi reali positivi free risk e la logica stessa di costruzione di un All weather è quindi errata. Le attività free risk, oggi, non sono sul mercato ma vanno costruite attraverso la combinazione di posizioni long short. Faccio un paio di esempi.
Una posizione free risk è, a mio avviso, una “posizione lunga di bund decennali + una posizione short di uguale importo di Futures su Oat francesi”.
Una posizione free risk è, ancora, una “posizione lunga di BTP INFLAZIONE ITALIA + una posizione short di eguale ammontare su futures BTP triennali”
Ecco perché l’All Weather non ha futuro: perché non contempla posizioni short!
Grazie della risposta.
Riconosco il modo di pensare. 🙂
A proposito dei tassi reali negativi e dello stock di debito, che rendono l’all weather portfolio inefficiente, mi chiedo se l’effetto dell’inflazione
sul valore reale del debito possa avere un effetto positivo sulla riduzione del peso del debito stesso.
E mi chiedo anche se sia un effetto ricercato e calcolato, oppure di contorno.
L’effetto dell’inflazione sul debito è positivo se con l’inflazione aumentano i redditi nominali, quindi aumentano le entrate fiscali (l’impatto dell’aumento dei prezzi sulle imposte indirette è invece automatico). Ovviamente, non devono salire i tassi di interesse, altrimenti le maggiori entrate fiscali sono erose, in parte, dalla maggior spesa per interessi. Se i salari reali non aumentano potremmo avere, però, un calo dei consumi, quindi un Pil reale così negativo da compensare in tutto o in parte l’aumento delle grandezze nominali. In altre parole Luca, per rispondere alla tua domanda, l’inflazione fa bene al debito solo se il sistema può reggere aumenti salariali e tassi reali che rimangono negativi. Esattamente quello che succede negli USA: la produttività delle aziende può tollerare aumenti salariali. In Europa non credo che ciò accadrà, per cui il debito nostrano non avrà alcun giovamento da una forte inflazione. E’ un effetto ricercato?
Credo che le manovre della BCE, da Draghi in poi, non si siano mai poste il problema. Quello che hanno fatto è sempre stato per salvare l’Euro. La BCE sembra aver messo, come obiettivo prioritario, il controllo dello spread, non inflazione e crescita.
Se così fosse, penso che, anche con inflazione al 7%, (e ci arriveremo) i tassi BCE rimarranno dove sono oggi.
Thanks.