Settembre 2022 – Marzo 2023. Eravamo tra i pochi a dire che bisognava investire senza timore perché negli Usa non ci sarebbe stata nessuna recessione, l’inflazione sarebbe rientrata, perché non strutturale, e i tassi a lungo termine avrebbero fermato la loro corsa intorno al 4%.

Avevamo ragione ma siamo di nuovo in trincea: il downgrade degli Usa e il rialzo dei tassi di interesse ha di nuovo generato pessimismo tra gli investitori.
Per questo vogliamo subito ribadire, in questo report, che gli investitori non hanno nulla da temere.
Secondo noi negli USA è in atto la terza fase del capitalismo, quella della rivoluzione tecnologia (linea di trend verde) e sarà una fase di crescita esponenziale e non lineare. La prima fase era quella della diffusione (linea bianca finita con Bretton Woods) e la seconda quella del credito (linea di trend rossa, finita nel 2007).
Da qua al 2034, ci aspettiamo un tasso di crescita Reale del PIL minimo del 2,83% annuo ed un tasso di inflazione annuo intorno allo 0,7%.

Ci aspettiamo che i profitti complessivi dell’economia continueranno ad avere un andamento migliore del PIL (trainati dalla produttività e non dalla massa monetaria); che gli utili di S&P500 faranno meglio di quelli complessivi dell’economia e che gli utili di Nasdaq 100 faranno meglio di quelli di S&P500.

Il grafico sopra non solo dimostra quanto detto in precedenza ma indica chiaramente che la dinamica degli utili Usa continuerà ad essere esponenziale e non lineare (in perfetta sintonia con quanto diceva Marx 200 anni fa e con quello che dice Tony Seba oggi, ossia «winners take all»).
Date queste ipotesi, possiamo provare a calcolare un valore obiettivo di S&P500 nel 2034 prendendo dal grafico in giallo il P/E che utilizzeremo per la nostra stima: 21.

Ecco la nostra stima: i risultati ottenuti dovrebbero sconfiggere qualsiasi paura:

dove 1.10 e 1.52 sono la differenza tra il trend di crescita degli utili delle società dello S&P500 rispetto agli utili dell’economia.
Nel valutare questi risultati, ricordatevi il grafico che segue (n.4) che ci ricorda che la fase del capitalismo basato sulla tecnologia, è un capitalismo che ci traghetta dall’era «dell’estrazione» a quella «della creazione»; questo “traghettamento” implica che le stime precedenti potrebbero essere molto, ma molto, conservative se, ad esempio, il mercato potenziale di un prodotto ancora non in commercio, ossia l’ androide Optimus di Tesla, fosse per ricavi di decine di trilioni di dollari.

Sapete quali sono i più grossi rischi, i più grossi ostacoli che dovremo affrontare per conseguire quel rendimento del 9,77% annuo?
Sono «Le leggende», i Guru, i Macro-man, gli strategist che vi tenteranno con lo stesso messaggio di inizio gennaio 2023: «VENDERE».
Stavolta non sono allineati sulla motivazione.
Cercheremo, come sempre, di analizzare, ad una ad una le loro argomentazioni, per capire se, questa volta, dobbiamo dar loro credito oppure no.


Partiamo dalla «leggenda».
LUI rispolvera i risultati del suo modello basato su un’idea, quella del «mean reverting», (tradotto più semplicemente in «quello che sale, prima o poi scende») che può essere giusta nel lungo periodo ed a livello di «aggregati economici macro» ma assolutamente sbagliata, anzi dannosa, se applicata per effettuare una scelta tra indici e titoli, ossia per effettuare una asset allocation.

Fortunatamente, possiamo stare tranquilli. Quel modello non vale nulla. A dimostrazione di quanto dico vi riporto, ad esempio, quello che suggeriva il modello nel 2010 (… e, se avrete la pazienza di cercare in rete, vedrete che il modello suggerisce la stessa cosa ogni anno dal 2010 ad oggi). In rosso, i ritorni annui effettivamente conseguiti, dalle singole asset classes, sette anni dopo


Un fallimento totale. Eppure, che l’idea di applicare il «mean reverting» per fare asset allocation sia seguita dalla maggioranza dei «gestori» lo dimostra il fatto che il rendimento ottenuto dalla «leggenda» negli ultimi 10 anni (un misero 0,7% annuo, peggio di inflazione o un semplice investimento in Btp) sia il medesimo ottenuto dalla media dei fondi flessibili italiani.

Il “perché” di questa adesione massiccia e perdurante nel tempo ad una idea sbagliata, malgrado i risultati fallimentari, è intuibile dalla risposta che la leggenda diede nel 2018 a chi gli chiedeva del perché di quelle performance deludenti.
«The lack of the draw» (tradotto: «il fattore c..») è il motivo della debacle. Si avete capito bene; la risposta, tracotante di arroganza, è:
«è solo un caso, pura sfortuna»


Stessa risposta che la leggenda dà 5 anni dopo, sempre per spiegare il perché dei segnali fallimentari del suo modello. Anche qua nessuna autocritica, solo sfortuna sua e fortuna altrui.


La risposta della “leggenda” ci insegna che il rischio non è il materializzarsi del “mean reverting” ma qualcosa di più subdolo che alberga in noi stabilmente.
E’ l’arroganza di pensare di possedere una regola potente e seguirla acriticamente attribuendo al caso i risultati negativi (0,7% annuo), derubricando al contempo come “speculativa” l’idea che ha reso il 25% all’ anno:

Ricordate queste parole:
“..they played right into strong speculation around artificial intelligence, making 25% ..”
Per investire correttamente bisogna mettere da parte l’arroganza e smettere di pensare che il rendimento si faccia andando a rovistare «tra i perdenti», che il mercato sia fatto da «imbecilli» che «non capiscono o non vedono» che una «oil company» o una «banca» quota 0,5 il book o che «Tesla quota più di tutti i competitors messi assieme».
I numeri dicono chiaramente che non è quello che conta.

Poi, a spaventarci, ci sono quelli che oramai vivono nella nuvola del loro successo, un tutt’uno con «quella chiamata giusta al momento giusto» che ha portato fama e denaro. Loro non devono spiegare nulla, non devono rispondere a nessuno, gestiscono la propria fortuna.
Sono come oracoli. Un oracolo non fa discorsi. Un oracolo al massimo fa un «Tweet» di una parola. Su questi non posso dire nulla e nulla posso obiettare.


Ma posso sicuramente ricordare a chi pensa di seguirli, che perdere i 10 o 20 migliori giorni di performance significa vanificare anni di investimento. Significa ritrovarsi in compagnia della «leggenda» e dei Fondi flessibili come visto nel grafico 5.

Burry e Grantham sono i due archetipi di investitore che rappresentano la maggioranza dei gestori che incontrerete, incarnano la maggioranza delle analisi e dei reports che leggerete.
Non lo dico io, lo dicono le performance del grafico 5 e le survey condotte, in questo caso da Bofa, sul positioning dei Fund manager statunitensi. La loro negatività sul mercato Usa e sui Tech stocks è strutturale, basata su momentum o mean reverting. Non sono argomentazioni che devono spaventarci.

La sfida più grossa, al rimanere investiti senza timore, è rappresentata dai gestori macro di Hedge Fund.
Loro argomentano ma, anche questa volta, come nel periodo settembre 22 – marzo 23, le loro analisi non convincono. A partire dall’eccessivo utilizzo di scale logaritmiche che fanno sembrare la finanza un mondo dove regna ordine e armonia, dove alla fine tutto si ripete ed è ricorrente. Guardatelo come è bello e potente questo grafico!

Evocativo, vero?
Peccato che nel capitalismo non ci sia nulla di ordinato.
Basta guardare lo stesso grafico ma in scala normale e con valori nominali. Come cambia la prospettiva, vero? Quelle differenze che sembravano ricorrenti e della stessa ampiezza (oggi come 1999 e 2007), non lo sono più. Se, poi, aggiungiamo l’andamento degli utili (linee tratteggiate per utili globali e di S&P500) si scopre anche che S&P500 ha deviato dal GDP non in preda ad un delirio valutativo ma per seguire l’andamento degli utili!

La nostra spiegazione del perché della divaricazione della dinamica di PIL e utili la sapete, l’avete vista nel grafico 1 e 2 : “winner takes all!”
Troppe scale logaritmiche, dicevamo, ma non solo.
Troppo spesso i mercati vengono analizzati attraverso coefficienti (P/E) calcolati e mostrati, oltretutto, su periodi esagerati. Quando dividete due variabili le state detrendizzando. Se pretendete che il ratio teorico debba essere costante nel tempo ( 20? , 15?, 10?) state presuntuosamente chiedendo ai mercati che seguano una «vostra idea» ossia che i due trend delle due variabili (Utili e Prezzi) siano lineari dal 1891. E questo malgrado la realtà (grafici 1, 2 e 7) vi dica il contrario!

De-trendizza oggi, de-trendizza domani, arriviamo a grafici demenziali come quello che segue, dove pensi di analizzare due variabili ma in realtà ne stai guardando una sola. Questo grafico fa sembrare una certezza il fatto che l’indice S&P500 sia al di sopra di ogni livello valutativo accettabile. Questo grafico sembrerebbe non ammettere repliche.

Ed invece è spazzatura. Nulla ci dice su S&P500. Indica solo che sui tassi di interesse vi è stato un movimento molto forte. Quando vedrete quel grafico, sul vostro social preferito o sui blog di finanza, ricordatevi del suo potenziale distruttivo, per i vostri investimenti. Non so se troverete qualche buon samaritano come RedPhoeni.x ad aiutarvi ad interpretarlo.

Quel grafico spazzatura ci è almeno servito per introdurre l‘ultimo spauracchio che i «macro men» degli Hedge fund» hanno individuato. Spauracchio amplificato da quella «sell side research» a cui spesso passano gli ordini. Eccolo lo spauracchio, ovviamente sempre in scala logaritmica: l’andamento dei tassi di interesse.

«La rottura è netta, chiara e pone fine ad un ciclo di 40 di ribassi dei tassi di interesse dice il “macro man” di turno (in questo caso di Crescat Capital).
Il mercato dei BONDS «ha capito» che l’inflazione è pronta a ripartire, rincara Kobeissi (con la stessa enfasi con la quale, magari, vi diceva a inizio 2023 che la curva invertita anticipava recessione e deflazione).

Da qui alla mazzata finale il passo è breve.
Il grafico che segue è quello che vedrete di più nel prossimo mese, postato e pubblicato e ripostato da chi non ha altri argomenti se non quello del verosimile, della similitudine, dei cicli rialzisti e ribassisti che si ripetono (ogni 40 anni o 20, fate voi). «Inflation wave never come alone» il nuovo mantra.
Eccolo qua il grafico che si rifà più all’attività propria di un aruspice che non a quella di un investitore.

Peccato che l’inflazione non sia come l’influenza, che si ripresenta puntualmente.
L’inflazione ha a che fare con un capitalismo che o non è in grado di trasformare il capitale in merci, beni, servizi o che è al limite dell’utilizzo delle risorse a disposizione. Oggi non siamo in nessuno di questi due scenari, almeno negli Usa.
La pressione che c’era sul capitale produttivo nei periodi inflattivi degli anni 70/80 (utilizzo impianti al 90%) oggi è completamente assente (utilizzo impianti sotto 80%).

Nel mondo degli anni ’70 – ’80 la Taylor Rule poteva avere una valenza: in quel periodo l’aumento dei salari nominali (linea gialla) determinava spesso un aumento del costo del lavoro per unità di prodotto (CLUP) anche maggiore (linea viola). Il mondo di oggi è molto diverso. Da 30 anni almeno il CLUP è tenuto a bada dalla produttività. La spirale prezzi salari ricade più tra gli eventi possibili che tra quelli probabili.
Per concludere, quindi non vediamo all’orizzonte rischi eclatanti che ci debbano tenere fuori dei marcati statunitensi. Anzi, se vogliamo ragionare in termini di premio al rischio e non di tassi di crescita, crediamo che oggi abbiamo l’opportunità imperdibile di investire con una remunerazione del rischio molto elevata. Il premio al rischio su S&P500 oggi è per noi intorno al 5%. Come lo otteniamo? Dal grafico 1 abbiamo le nostre previsioni sul tasso a lungo termine sul T-Bond pari al 3,53% (0,7% inflazione + 2,83% reale). Dalle stime di scenario ricaviamo il rendimento di S&P500 intorno a 8,5% (media dei 2 scenari.)
Lasciate che aruspici, leggende, oracoli continuino a pensare sia 0%.

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